Il Blog di Daiana

Masaru: liana e bastone

480 360 Daiana Campaini

C’era una volta in Giappone un giovane uomo di nome Masaru.

Masaru amava viaggiare e spostarsi da un villaggio all’altro avendo come suo unico compagno di viaggio un bastone trovato sul suo cammino  in un giorno di pioggia. Era uno di quei giorni dove tutto gira storto ed ogni cosa diventa  estremamente difficile, perfino il semplice respirare. Fu in un giorno così, sotto la pioggia battente che, lungo la strada, Masaru vide questo strano bastone: lungo, stretto, drittissimo. Gli sembrò perfetto per sostenersi nei lunghi giorni di cammino quando il suo corpo iniziava a cedere sotto il peso di un’insoppotabile stanchezza, ma il villaggio successivo non compariva ancora all’orizzonte. Gli sembrò così perfetto che decise di prenderlo con sé e da quel giorno divenne il suo inseparabile compagno di viaggio.

Erano passati molti soli e molte lune da quel giorno, ma quasi niente era cambiato nelle sue abitudini.  Masaru continuava a viaggiare solo, non aveva famiglia e nemmeno degli amici. Bastava a se stesso ed ogni volta che era soppraggiunta una difficoltà era sempre riuscito a risolverla col suo solo ingegno e l’aiuto del bastone. Era infatti diventato abilissimo nell’usarlo, tanto da sentirlo una vera e propria appendice del proprio corpo.. con quel bastone si sentiva invincibile, poteva procurarsi del cibo, difendersi dagli aggressori, trovare ombra nei giorni di sole o riparo nei giorni di pioggia, sostenere il suo corpo stanco e perfino confidarsi. Era assolutamente autosufficiente e con questo suo modo di vivere sapeva sempre cosa era meglio fare e quando.

 

Aveva sviluppato un’infinita quantità di certezze tanto da essere infintamente infastidito alla sola vista di altri esseri umani fatti per lo più di paure, dubbi , smarimenti, stupidi momenti di frivolezza o grasse, inutili risate. Era ormai considerato un vecchio irrigidito dal tempo e dalle difficoltà a cui non giovava affatto tutta quell’estrema solitudine in cui viveva. A lui chiaramente non importava niente delle sciocche dicerie del villaggio, lui non aveva alcun problema, lui stava benissimo. C’era solo un fastidiosissimo, incomprensibile fruscio che di tanto in tanto da un bel po’ di anni  soleva intendere. Ogni volta che aveva udito questo fruscio, pur girandosi in fretta a destra ed a sinistra non aveva visto proprio niente e non era dunque riuscito a capire né da dove provenisse nè quale ne fosse la causa, eppure questo suono si faceva sempre più presente.

Intanto, col passare del tempo, insieme a Masaru, anche il suo fido bastone si era fatto vecchio, arido e decisamente troppo inflessibile ed un giorno, mentre camminava sotto il sole cocente d’agosto, il bastone rimase incastrato in una piccola fessura del terreno e cedendo sotto il peso del suo vecchio e non più agile padrone si spezzò improvvisamente in 2. Mentre finiva  dritto dritto dentro l’acqua sporca dello stagno al lato del sentiero che stava percorrendo, Masaru di nuovo sentì quello strano fruscio, ma non fece in tempo a voltarsi da nessuna parte che già stava dragando il fondo dello stagno coi pochi denti rimastigli in bocca.

Non fu certo un colpo facile da incassare per il suo ormai fiero, inflessibilissimo orgoglio e gli fu quindi necessario un po’ di tempo per  rialzarsi, ma una volta carponi nello stagno, finì per capire da dove proveniva quello strano fruscio. Riflessa nell’acqua dello stagno vide infatti una lunga, robusta, sinuosissima liana che scendendo dal ramo di un albero si fermava giusto a pochi centimetri dalla sua spalla sinistra, ma abbastanza in alto da non poter essere vista se non alzando lo sguardo al cielo, cosa che Masaru da molto tempo aveva smesso di fare, concentrandosi sempre di più solo su ciò che stava solidamente a terra.

E fu così che, carponi dentro l’acqua sporca, con la bocca piena di fango ed il corpo dolorante per la caduta, Masaru si ricordò di tutte le altre volte in cui aveva sentito quello strano rumore e fu proprio in quell’istante che finalmente capì. Nell’arco della sua vita, in molte occasioni se solo  avesse distolto lo sguardo “da terra” ed avesse guardato il mondo con maggior flessibilità avrebbe potuto risparmiarsi “una sonora caduta”.

A discapito del nostro senso razionale, l’Universo  molte volte ci motra che una liana appesa al cielo può essere meglio di un bastone che tocca terra…ma spesso, per arrendersi all’evidenza, possono essere neccessarie funamboliche, ripetitive scivolate!

× whatsapp